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martedì 9 novembre 2010

C'è una 12e70 da salvare



Di questa barca mitica ne avevamo già altrove parlato.. questo non è pertanto il post di una "barca della settimana", ma solo la dovuta testimonianza alla visita effettuata dal sottoscrito a bordo di una -ancora- splendida 12e70 in procinto d'essere riportata in auge dopo alcuni anni di trascuratezza inchiodata su un invaso a terra, a bordo della quale sono stato invitato dall'armatore alla presenza di alcuni tecnici e artigiani che molto probabilmente ne cureranno il restauro; per rispetto alla privacy non pubblicherò nè la storia della barca -che pare un romanzo, e se ne potrebbe fare tranquillamente un film- nè foto integrali nè il nome, ma ugualmente non posso non renderle il giusto tributo con un paio di foto dei alcuni suoi fascinosissimi particolari! (da notare il marchio inconfondibile dell'Alpa impresso sui fermi carrelli del genoa e su molti altri particolari, ed il bicchiere di uno dei candelieri di centro barca, sagomato in modo da poter abbattere il candeliere in questione navigando sotto spi, senza dare intralcio alle scotte di questo.. autentiche chiccherie!)










Trascrivo piuttosto un brano tratto dal libro "Alpa 1956-1998 - La storia" di Davide Zerbinati, a conforto di una storia veramente mitica e che potrebbe non fine mai!





"Questa è la storia di una barca normale, proprio di una delle più normali tra tutte quelle che sia mai
capitato di vedere. Il mare ha dovuto sopportare tante barche cattive: sono quelle che per una serie
perversa di ragioni non sarebbero dovute nascere e invece sono state costruite, acquistate, molti ci
hanno navigato. Poi in mare si possono vedere anche alcune barche “cattive”: sono del tutto opposte
alle prime, hanno l’ aspetto riconoscibilissimo della creatura nata per dare la caccia, quella che
vuole e deve sempre vincere, che è perennemente alla ricerca di misurarsi con gli altri, di superarli;
forse, per chi naviga, non è neppure tanto importante il tipo di liquido su cui sta galleggiando,
perché esso è solamente un accessorio irrilevante nella combinazione degli elementi indispensabili
ad arrivare primi. L’ Alpa 12,70 appartiene alla stirpe nobile delle barche normali. La guardiamo
anche oggi, soprattutto oggi, e ci sembra esattamente come dovrebbe essere qualsiasi buona
imbarcazione fatta per andare a vela. Osserviamo meglio studiando le linee di carena, il piano
velico, le sistemazioni interne, e siamo di nuovo a confermare la stessa convinzione. Allora, questo
significa che siamo di fronte ad una sorte di barca ideale, al concetto platonico di barca che si offre
generosamente al divertimento, alla passione, alla sicurezza e alla soddisfazione. La sua “normalità”
così evidente è frutto di un piccolo miracolo: non saltano agli occhi difetti.
Per metterlo insieme, il miracolo, ci sono voluti elementi che nulla hanno a che fare con il caso.
Eppure è stata una ricetta semplice, in apparenza: un eccellente progettista, Olin Stephens; un buon
cantiere l’ Alpa; una serie di realizzatori sempre all’ altezza della situazione per competenza e
serietà. Ma non bastava, occorrevano pure l’ entusiasmo e l’ esperienza di velisti appassionati che
decisero di riunirsi per cercare di ottenere il meglio. Il che significa che il 12,70 non è stato un
prodotto posto sul mercato con la speranza di trovare acquirenti; al contrario, esso è nato sulla base
di precise esigenze di alcuni velisti, che hanno voluto diventare protagonisti di ogni fase della
progettazione ed esecuzione della barca su cui intendevano navigare. Verso il 1969 i one tonner
erano barche interessanti per regatare, in quanto simili e ognuno si batteva al meglio delle proprie
capacità misurandosi con dei contendenti teoricamente ad armi pari. Perché, allora, non creare una
serie di barche assolutamente uguali per ottenere ancor di più da questo tipo di gara? Da questa
idea, nata in Sardegna alle regate di Porto Cervo tra un gruppo di yachtsmen che sapevano
esattamente cosa volevano da una barca, nacquero i two tonner.
Antonio Pierobon né parla in un articolo del 1969 di Yachting Italiano così: ” Ora vorrei
imbarcarvi su di un fantastico tappeto volante e questo si chiama 25 piedi”. Dopo aver dato vita
alla serie notevole degli one tonner italiani, Pierobon pensava dunque ad una nuova crociata:
”Consideriamo dapprima il numero degli scafi: è stata ottima la risposta e sono state numerose le
barche costruite sul regolamento per la One Ton Cup ma le costruzioni individuali, in queste
spirali di costi, si sono rilevate eccessivamente dispendiose e questo non ne incoraggia sicuramente
una diffusione notevole. Di qui, a mio avviso, c’è la necessità di una ricerca di una costruzione in
serie è più accessibile, quindi una soluzione veramente economica per una estesa proliferazione
[…]ora è dalla diffusione di questo tipo che ci aspettiamo la grande ripresa delle regate d’ altura”.
Il 22’ vedeva lievitare troppo i costi, dunque, occorreva uno scafo che potesse rappresentare una
scelta ottimale per una più estesa gamma di partiti.
“L’ideale mi si è delineato come quello di un’ imbarcazione avente 30’ al galleggiamento e quindi
circa25’ di rating Rorc attuale. 30’ perché questa è la misura minima ammessa all’ Admiral Cup e
cioè alla competizione mondiale.”
Intanto l’ idea si sta già facendo realizzazione: nasce una corrispondenza con Olin Stephens. “Caro
Olin, penserei ad uno sviluppo nel quadro del nuovo regolamento e ti chiedo di cominciare a
pensare per me ad un’ imbarcazione che potrebbe essere in serie, in alluminio o vetroresina, di 30’
al galleggiamento. Penso che il risultato, inizialmente travolgente, del 22’ sia dovuto, oltre che ad
un parametro ideale nella regola Rorc attuale, alle esiguità ed alla maneggevolezza delle manovre
e alla facilità nello stare al pelo con continuità alle vele e all’ andatura. In breve, desidero un 30’
al galleggiamento, il dislocamento di un 22’ e un area velica a esso proporzionalmente molto
vicina, ma con rapporto di oltre il 50% di peso in chiglia. ”
Olin Stephens viene a Milano per discuterla. Occorre riunire un pool di entusiasti che si associno
all’ impresa.” Ne parlo ad un amico: Gianluigi Paleari, poi Beppe Diano e poi Mimmo Sozzani ed
ancora Enrico Valenzuela e, miracolo davvero gli amici diventano ben presto dodici. Ma allora il
momento è maturo anche da noi, e uno yachting di regata d’ altura a larga diffusione, veramente
sportivo, è alle porte.”
Arrivano i primi disegni, tutti collaborano all’ opera, si penetrano i Loyd’s, che sconsigliano la
scelta dell’ alluminio per la costruzione…
“ La barca prende forma, ci divertiamo un mondo a complicare la vita di Cattadori che ci ha messo
a disposizione l’ Alpa e la sua attrezzatura industriale. Consideriamo con rispetto quest’ uomo, che
con intelligenza ha captato le possibilità attuali e future della faccenda e, aprendo alle nostre
iniziative dittatoriali senza riserve, si è creato il privilegio di lavorare con gli S&S ad alto livello”.
Infine:” Il disegno ci ha entusiasmato: le linee sono filanti, stupende e il modello al vero, per la
costruzione dello stampo, è stata fatta con la precisione del decimo di millimetro. Stephens stesso
dopo averlo ispezionato, ci ha detto e ci ha dato atto che uno dei più vicini alla perfezione; questo
per l’ abilità dell’ Alpa, per le ispezioni di Davide Castiglioni, longa manus, di Stephens e nostra.”

Rimaste invariate le caratteristiche essenziali del progetto, L’ Alpa 12,70 è uscito in due tipi,
identificati da una diversa disposizione degli interni e, conseguentemente, dalla differente
lunghezza della tuga. Nel tipo a tuga lunga, dopo il gavone di prora e il locale per il marinaio si
trovano una cabina doppia a cuccette contrapposte, quindi il locale toilette e gli armadi, poi il
saloncino ed infine a dritta della scaletta la cucina; dal lato opposto, ci sono il tavolo da carteggio e
la cuccetta del navigatore.
Invece, nella versione a tuga corta esiste una separazione netta in due zone: cabina di poppa con
accesso separato e poi un altro accesso per arrivare al saloncino e nei locali più ampi a prua,
costituiti da locale cucina, dal locale marinaio e dal gavone consueto. Questa versione assicura una
maggiore privacy all’ equipaggio, ma soprattutto una tuga meno estesa permette più spazio nelle
manovre in regata.
Qualche difetto? Uno solo, forse, dovuto non tanto al progetto quanto ai tempi di realizzazione.
Verso il’69-’70, cioè, cambiavano le regole di regata e con il nuovo regolamento IOR la barca
nasceva già superata nei termini di rating. Allora, con un rating piuttosto alto, l’ A 12,70 veniva a
trovarsi svantaggiato, ma ebbe modo di comportarsi validamente e lo dimostrano gli ottimi
piazzamenti che ha ottenuto e che continua a mantenere. Il suo pregio maggiore è costituito dal fatto
che la barca è perfettamente equilibrata, quindi molto maneggevole e sicura in ogni condizione.
Ottima la stratificazione della vetroresina.
Uno dei protagonisti del pool di committenti è stato Mimmo Sozzani che ha posseduto l’ Alpa
12,70, di nome Tortuga IV, dal 1971 al 1980. A parte una serie di regate, con questa barca ha
percorso 33.000 miglia nel Mediterraneo senza nessun problema quanto a comodità, sicurezza e
validità di prestazioni sotto vela e motore con qualsiasi condizione di mare. Dice che si potevano
prendere tempi spaventosi e che la barca rispondeva sempre al meglio.
Chi poi frequenta le coste della Dalmazia, ricorderà sicuramente l’ A12,70 posseduto da Straulino:
lo si vedeva spesso nella baia di Artatori con una barca sempre perfetta e plurivittoriosa.
Nina VII, è stato tra il 1982 e il 1985 la barca dello skipper Luigi Nava. Ricorda con soddisfazione i
primi piazzamenti alla Rimini-Corfù-Rimini ed alla 500x2 del 1985. Skipper tutto l’ anno, la barca
non si è mai fermata percorrendo più di 100.000 miglia.
Si è creato un legame vero, tra chi ha posseduto questa regina del mare, ed un simile legame si
genera spesso, ma in questo caso vale di più. Come regina dell’ usato si fa un poco desiderare.
Ovviamente dato il numero limitato di esemplari prodotti. All’ inizio costava 22 milioni, mentre
oggi il suo valore nel mercato può essere piuttosto vario, comunque ben al di sopra dei 100 milioni,
in funzione anche degli accessori di bordo. In genere sono tenuti bene, ma hanno anche fatto molta
strada e molte regate e tutti gli esemplari sono ancora naviganti.
Era chiamata il “plasticone” perché le barche di quella lunghezza in vetroresina erano ancora poche
a quei tempi."


 
Dopo la chiusura del cantiere lo stampo fu rilevato dai Cantieri del Transimeno di Viareggio che modificarono la coperta e gli interni per rendere l’ imbarcazione più confortevole. Nacque così il CT 43 Hunraken.

12 commenti:

  1. Ciao sono miwiki di ADV,questa settimana mi sono perlustrato per bene il tuo blog e lo trovo interessante per la ricchezza degli argomenti.
    Complimenti per la barca nuova, ottima scelta , ho avuto modo di navigarvi e mi sono trovato bene.

    Che tristezza vedere un'alpa 12.70 nelle condizioni di cui sopra!

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  2. grazie della visita e dei complimenti miwiki!
    speriamo che l'Alpa torni presto in auge e di rivederci su queste pagine.. davide

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  3. A occhio e croce dal colore mi sembra il mio vecchio Bonita, cioè di mio padre, l'ho perso di vista ma so che ancora gira nei raduni di vele storiche. Mio padre era uno di quei dodici, e io andai con il Bonita alla OTCup a Sanremo, purtroppo finì male perché ci dovemmo ritirate per gravi motivi familiari e la barca corse con un equipaggio australiano che perse tutte le prove tranne una: mio padre passata l'emergenza e furibondo si presentà all'ultima prova, fece sedere da parte lo skipper australiano, prese il timone e vinse la prova come niente, hehe. Era un gran barca, e Stiphens un genio, infatti ci fece pure il Bonita III, in legno ma velocissimo. Ah, mio padre si chiamava A y m e r i c h.

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    1. Stavo proprio cercando notizie su "Bonita", mi incuriosiva sapere se stava ancora navigando... ho conosciuto tuo padre (è ancora vivo?) e ho fatto parte dell'equipaggio che l'ha portata da S. Margherita Ligure a Cagliari, al momento dell'acquisto. Poi io ho preso un'altra strada...

      Mi piacerebbe tanto rivederla, una volta rimessa a nuovo.

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    2. Ma pensa te, magari mi avrai conosciuto, mi ricordo quando fu fatto il trasporto, anche se ero un ragazzino. Purtroppo mio padre non c'è più, era del '24. Il Bonità ha navigato in acque cagliaritane per molti anni poi è stato venduto ancora ed è stato avvistato da amici diversi anni fa nell'adriatico, ma sembrerebbe che ora sia a Napoli, infatti mi è stato recentemente segnalato da un lettore di questo blog in un annuncio economico su subito.it in vendita per 80.000 euro, perfettamente restaurato, e mi sembrava proprio il Bonita, se non lo era comunque era identica. Ho risposto all'annuncio ma non mi hanno risposto e l'annuncio non c'è più. Ma siccome non so se quella di quest'articolo sia il Bonita o una delle sorelle non vorrei che quella di Napoli fosse quella di quest'articolo e che non fosse il Bonita. Forse il titolare del blog potrebbe dissipare questo dubbio, anche senza rivelare dati di terzi. Qualunque informazione è gradita :-) Ciao!

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    3. Salve il Bonita si trova a Viareggio e gode di ottima salute in compagnia di Isabella e Pierret.

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    4. Grazie mille dell'informazione! Scusa se mi permetto ma, se sono amici tuoi o se sei di Viareggio, pensi che potrei avere qualche foto ricordo per email? Ne ho qualcuna (ma poche, a quei tempi non c'era il digitale) ma a me e mia madre piacerebbe molto rivederla adesso, almeno in foto! Mi faresti un grande piacere! Io sono raggiungibile dal mio sito villadorri.it nel caso :-)

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  4. Il Bonita III però Stephens e mio padre lo fecero fare a Craglietto, a Trieste, ci sono stato e ho conosciuto pure Stephens e andai anche in Olanda a vedere Hood che ci faceva le vele, bei tempi... :-)

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  5. ma che bel commento Emanuele! ..grazie davvero di cuore del tuo contributo.. a rileggerti!
    davide

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  6. Ci sono novità sul restauro di questo gioiellino?

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  7. Buongiorno a te,
    complimenti per il Blog!
    Che fine ha fatto la barca? Nel 2011 avevo fatto vari preventivi per Davide e poi non ne ho saputo piu' nulla..

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