il gradevole video-racconto di un trasferimento in Adriatico, con protagonisti alcuni amici velisti trentini comm'annoi (e al neo-armatore i nostri migliori Auguri!)
RIMINI – APRILIA MARITTIMA
“Barca virosque cano, Arimini qui ab oris Apriliam vino profugi fato venit...”
Così potrebbe cominciare il racconto delle epiche gesta che hanno portato quattro uomini ed una barca da Rimini ad Aprilia Marittima, in un viaggio avventuroso che forse solo Omero o Virgilio avrebbero potuto cantare con giusto merito per i marinai e per il mare, vero protagonista di questo racconto di viaggio.
Ovviamente quello che segue è il mio punto di vista e sono certo che più tardi Flavio, l’armatore, potrà dare il suo contributo (oltre che aggiungere le foto che io ancora non ho).
La barca è una Viksund 31, nota anche come MS-33, prodotta dal cantiere scandinavo tra il 1972 ed il 1980, mentre l’equipaggio è formato da me, l’armatore Flavio, Andrea, e Bruno, uomo di montagna alla sua prima esperienza con la vela. Il programma prevede di portare la barca di Flavio, acquistata un paio di mesi fa a Rimini al suo nuovo porto, ad Aprilia Marittima.
La meteo è buona e la data è confermata.
Il mio viaggio prende il via a Trento, giovedì sera. Dopo una giornata di lavoro intenso e stressante, soprattutto per la consapevolezza che avrei perso i contatti con l’ufficio per almeno un paio di giorni, riesco a correre al treno e salire al volo.
Mi sento ancora teso, ma l’idea di una bella navigata già comincia a farsi strada. Non mi sono portato nemmeno il computer, per non correre il rischio di mettermi a lavorare anche lì! E’ tanto che non prendo il treno e mi sono portato un buon libro da leggere durante il percorso. Arriviamo a Bologna puntuali e salgo sulla coincidenza per la riviera. “Il viaggio comincia sotto una buona stella”, penso tra me e me, quando vedo il cartello che segna l’ingresso in stazione a Forlì. Manca solo mezz’ora alla favolosa mangiata di pesce che mi pregusto già da qualche giorno e sento l’acquolina in bocca!
In quel momento il treno di ferma ed una voce annuncia: “A causa di un investimento sulla linea, il treno subirà un ritardo indeterminato. Ci scusiamo per l’eventuale disagio”.
E te pareva…La faccio breve: passate tre ore, finalmente si riparte e mentre gli altri si stavano abbuffando, io mangiavo un tramezzino chef express al tacchino e carciofini…In più il bar del treno era fuori uso e girava solo un carrellino introvabile, l’acqua finita e solo birra a disposizione.
Insomma, alla fine sono arrivato a Rimini, dopo un viaggio di sei ore e mezza, praticamente brillo e quasi digiuno.
In stazione mi accolgono Flavio e Bruno ed insieme andiamo al porto-canale, dove ci attende Lelila, la barca.
La prima impressione che ho, vedendola all’ormeggio, è decisamente positiva: le linee non sono consuete e certo nemmeno filanti, ma mi dà un senso di solidità e sicurezza. Impressione rafforzata non appena salgo a bordo: il baglio, tre metri e poco più, è decisamente ampio per essere un 9.40 e lo spazio in coperta ben studiato. Il pozzetto centrale è profondo e ben riparato e l’armo a ketch mi riporta alla mente le mie prime esperienze in mare. Sotto coperta vengo accolto da un ambiente ampio, caldo ed accogliente: il baglio è sfruttato in pieno e la dinette è spaziosa, con un’altezza che senza ombra di dubbio arriva ai due metri. Il bagno è abbastanza grande, così come la cabina di prua: non sembra certo un progetto degli anni ’70!
Inoltre Flavio e la sua compagna hanno rifatto interamente le cuscinerie e le tendine ed hanno già dato un aspetto più moderno alla barca.
Mi viene destinata la cabina di poppa, con accesso esterno da pozzetto, ed anche qui, sebbene non vi sia l’altezza d’uomo, mi sembra che lo spazio sia ben organizzato. Completamente rivestita di mogano, ospita due cuccette a V che, unite, si trasformano in un grande letto che potrebbe ospitare fino a tre persone. Da solo mi ci trovo davvero bene.
Torno in dinette e sul tavolo fanno mostra di sé alcune birre ed immediatamente accetto l’offerta di benvenuto, in attesa del quarto membro dell’equipaggio, che arriva - complice il ritardo delle ferrovie – all’una e un quarto del mattino. Nel frattempo noi abbiamo già contribuito al riciclo dell’alluminio, svuotando le lattine del loro contenuto e l’umore è alto.
Il mattino successivo ci svegliamo verso le 7: l’armatore si è alzato per primo ed è andato a prendere cornetti e brioche per tutti.
Arriva anche Giancarlo, il quinto elemento – ovvero il vecchio proprietario della barca – che quasi versa una lacrima all’idea di veder partire la sua “bella”.
Lo salutiamo e ci prepariamo alla partenza. Tra una cosa e l’altra sono già arrivate le 8.45 quando lasciamo l’ormeggio.
All’esterno del canale si vede già il mare di un blu intenso con qualche onda crestata. Non ci pare vero: c’è il vento! Alle 9.15 siamo a meno di un miglio dalla costa ed alziamo le vele, armandola completamente.
Non abbiamo l’anemometro, ma a livello empirico giudico il vento, proveniente est/nord-est, tra i 12 ed il 15 nodi e la barca procede di bolina a circa 4,5 nodi. Lelila non sbanda eccessivamente, anzi, ed è veramente stabile, regalandoci una prestazione superiore alle mie aspettative.
Maciniamo diverse miglia lungo navigando per 5° ed a mezzogiorno, dopo un buon spritz in vista della piattaforma Amelia, ci concediamo il pasto accompagnato dall’immancabile birretta. Il mare comincia ad ingrossarsi ma il vento è costante e ci accompagna lunga la nostra rotta, dandoci fiducia.
Quando siamo all’altezza di Ravenna, ci raggiunge un gruppo di delfini, sono almeno una decina, che inizia a giocare con Lelila. Sono splendidi e la loro presenza ci tiene compagnia per alcuni minuti. Il vento comincia a rinforzare, seppur non eccessivo, ma il mare ha ormai raggiunto lo stato di 4, molto mosso. Le onde sono certamente superiori ad un metro e mezzo e la barca rolla vistosamente. Quando siamo nel cavo dell’onda, quella sopravvento supera in altezza la fiancata e la barca sembra scalare una piccola montagna ogni volta. E’ impressionante, fa paura ed affascina, ma ci si sente sicuri in quel pozzetto così ampio e ben protetto dalle alte murate.
Quante volte mi sono detto: “In navigazione non si bevono alcolici”, eppure ancora una volta ci ricaschiamo tutti quanti, presi dall’euforia della veleggiata.
Verso le 16.30 comincio a sentire un po’ di nausea ed una certa acidità in gola, una sensazione che non mi abbandonerà fino al giorno dopo.
C’è chi sta decisamente peggio: Bruno è messo male e decide di pasturare i pesci, anche se ormai le canne le abbiamo ritirate da un po’ e credo che anche il resto dell’equipaggio, sebbene non si lamenti particolarmente, stia condividendo con me la sensazione.
Quando il sole comincia ad abbassarsi sull’orizzonte, valutiamo la rotta percorsa, una trentina miglia, e la distanza dalla meta, altre 75 circa. Io preferirei navigare ancora qualche ora e fermarmi a Porto Levante o nei dintorni per dormire, mentre gli altri propendono per continuare la navigazione anche durante la notte. Bruno è invece concentrato sul suo malessere e non ha voce in capitolo, essendo alla prima esperienza. Ovviamente la maggioranza vince ed io, tutto sommato non troppo dispiaciuto, acconsento. Sono fiducioso e convinto che il vento ed il mare si calmeranno, soprattutto quando, verso le 19, effettivamente sembra che la situazione sia molto più tranquilla. A confermarmi le mie impressioni sul mal di mare, nessuno mangia nulla!
Alle 20 vado a dormire per prepararmi alla notte e mi rialzo alle 22.30. Fuori è abbastanza tranquillo, si accende anche il motore perché il vento è calato e vogliamo macinare più miglia possibile. A 250° si vede il faro di Punta della Maestra e Flavio mi indica a prua delle luci in lontananza e mi dice che si tratta di Chioggia; Andrea non è d’accordo ed in effetti – guardo sulla carta – siamo ancora ad una quindicina di miglia dall’accesso in laguna. L’idea che sia già però la cittadina veneta, mi rincuora. Flavio va a dormire, Bruno è invece avvolto nel sacco a pelo in coperta e dà l’idea di un cencio avvolto tra i cenci, mentre cerca di prendere faticosamente sonno. Andrea è invece sdraiato nella seduta sottovento e dorme, coperto dalla cerata. Io mi siedo a poppa, sulla tuga della mia cabina, da dove godo di una bella visuale a prua. Le vele sono tutte armate ed il vento comincia sempre più a prendere forza. Il cielo è stupendo e come sempre, durante le notturne, offre uno spettacolo straordinario. La luna è ormai tramontata e le stelle sono bellissime. La temperatura non è delle migliori, ma sono coperto bene e mi godo questo momento. L’autopilota fa, cigolando e scricchiolando, il suo dovere, anche se ogni tanto dà i numeri e bisogna rimetterlo in rotta.
Gli altri dormono tutti ed io sono solo con i miei pensieri. Osservo le luci in lontananza, il mare nero dove si vedono solo pochi punti bianchi in lontananza e quella che penso essere Chioggia a sinistra. Siamo a circa una decina di miglia dalla costa ed osservo come appaiano luminose le strade della città, nonostante si trovi anche all’interno della laguna, immaginando le persone per strada, in auto, nelle proprie case o a bere qualcosa al pub. La distanza però rimane costante e, con il passare del tempo, mi viene più di qualche dubbio…fino a che finalmente Chioggia si ferma e mi accorgo, guardando con il binocolo, che si tratta di una grande nave da crociera, talmente illuminata da sembrare una cittadina costiera! Rido tra me e me.
La rotta mi porta finalmente ad una distanza di un paio di miglia e sento perfino un vago rumore di discoteca…tunz tunz tunz…Per fortuna il vento soffia nella direzione contraria e Lelila si allontana velocemente.
Finalmente rinforza abbastanza da poter spegnere il motore, Andrea si alza ed insieme sistemiamo le vele. A questo punto procediamo per 18° a 5 nodi, accompagnati dal rumore del mare, che ha nuovamente iniziato ad ingrossarsi. Andrea si rimette sottovento e si riaddormenta, mentre io continuo la mia guardia. E’ una navigazione piacevole, nonostante il mare formato, e vedo in lontananza il bagliore delle città riflesso nelle nuvole e qualche lampo. Sopra di noi le stelle continuano a vegliare e Bruno, esausto, decide finalmente di scendere a dormire. Io invece, sfidando il malessere che mi accompagna fedelmente, mangio una brioche al cioccolato, per fortuna senza conseguenze. Mossa azzardata, ma mangiare qualcosa serve ad allontanare il sonno!
Ad un certo punto, seduto sopravvento, mi prendo uno spavento. Sono sovrappensiero quando, girandomi, vedo un’onda arrivare più cattiva delle altre e frangere a pochi metri da me. Sento lo scroscio dell’acqua, vedo la spuma ed il pensiero va subito ai tanti racconti letti sulle onde frangenti. E’ questione di un attimo, provo una fitta alla pancia ed afferro saldamente una bitta a metà mura, ma poi l’onda passa e scivola sotto la chiglia, sollevandoci e facendoci ricadere dolcemente. La barca ora cavalca con decisione ed arriviamo ad andare a 6.4 nodi reali! Che bellezza!
Verso le 2 e mezza il vento si fa più teso e lo stesso Flavio si alza a controllare. Lelila è sbandata di 22 gradi ed io e lui vorremmo ridurre, mentre Andrea non lo ritiene opportuno. Sotto coperta è il caos: i precedenti armatori, evidentemente, non avevano mai portato la barca in quelle condizioni ed i pochi blocchi a sportelli e cassetti cedono! Perfino il frigorifero, a torretta, esce dal suo alloggio e naviga per la dinette, che ora sembra aver subito gli effetti di un terremoto.
Vince la politica della riduzione e ci prepariamo ad andare all’albero per prendere due mani di terzaroli a randa e fiocco. Sto già per uscire dal pozzetto, quando Andrea mi ricorda di mettere la cintura di salvataggio! Stavo per commettere una leggerezza che poteva essere davvero pericolosa. Il sistema per ridurre la randa non è dei più efficaci: il boma gira su se stesso con l’ausilio di una maniglia a base albero ed occorrono due persone per compiere l’operazione, una alla maniglia e l’altro alla drizza. Io e Flavio, in condizioni non ottimali, arriviamo alla base dell’albero ed iniziamo ad avvolgere la randa al boma, mentre le onde ci bagnano e ci costringono ad aggrapparci con forza ai tientibene per non finire in acqua.
Faticosamente riusciamo a prendere due mani di terzaroli e la barca torna ad essere meno sbandata. La velocità è comunque buona e navighiamo a poco meno di cinque nodi.
Alle 5.00 vedo a sinistra, a sei o sette miglia, il faro di Rocchetta e davanti a noi, ad una decina di miglia, le luci di Jesolo. Dopo un po’ il sole fa capolino, non ce la faccio più e mi tuffo, letteralmente, a dormire nel caos che regna nella dinette. La barca è meno sbandata ed in pochi minuti mi addormento.
Quando mi sveglio sono le 7 e sono tutti in pozzetto. Davanti a noi c’è la cittadina che vigila alle porte orientali della laguna veneta. Cambiamo mura e proviamo a seguire la costa. Purtroppo il vento a questo punto è proprio sul muso e non possiamo fare altro che accendere il motore. Proseguire di bolina significherebbe tornare al largo per altre dieci miglia e fare almeno altri due bordi in balia delle onde, a tratti anche di un paio di metri. Siamo stanchi e preferiamo ammainare randa e genoa e proseguire a motore.
L’onda è ancora alta, da nordest, il vento forte ed il motore da 50 cavalli fatica a spingere avanti Lelila, che si arrampica e ricade a poco più di due nodi.
Ci avviciniamo allora alla costa, fino ad arrivare a poche centinaia di metri, dove finalmente il mare si calma un po’ e riusciamo a raggiungere i 3,5 nodi. Faccio colazione con arachidi, anacardi tostati e mais fritto e salato.
Alle 9 torno sottocoperta e cado tra le braccia di Morfeo. Apro gli occhi verso mezzogiorno e vedo che gli altri stanno mangiando un panino: non ho più mal di mare ed ho fame anch’io, ma il sonno e’ tanto e non riesco nemmeno ad alzarmi. Finalmente alle 14.00 mi riprendo, mi faccio un panino con il prosciutto cotto e me lo gusto come fosse una fiorentina cotta al punto giusto.
Mancano oramai poche miglia, il sole è caldo e pregustiamo tutti la doccia calda che ci attende.
Doppiamo punta Tagliamento un’ora dopo e finalmente siamo in vista di Lignano. Entriamo in laguna, dove veniamo dolcemente cullati dal mare improvvisamente calmo, ed alle 16.00, dopo una piacevole navigazione nel Canale dei Lustri, atterriamo al marina. La sera, per festeggiare, l’armatore si è messo ai fornelli e ci siamo mangiati un ottimo filetto al pepe verde, accompagnato da buon vino e dall’assenza totale di rollio. A seguire una notte di assoluto riposo.
Le miglia percorse in 31 ore di navigazione sono state circa 115, delle quali più della metà a vela.
La barca è stata affidabile e stabile ed ha affrontato con sicurezza una situazione non facile. L’armo a ketch rimane per me straordinariamente efficace e mi spiace che stia via via scomparendo.Sicuramente una bella esperienza, anche se rimpiango ancora la cena di pesce mancata.
Alcune considerazioni:
1. Anche se si va in mare da sempre, il mal di mare può essere in agguato. Diffidate da chi si dice lupo di mare e non ne ha mai sofferto, perché evidentemente non ha navigato abbastanza.
2. Quando hai fretta o sei stanco, avrai sicuramente il vento contrario
3. Le notturne più belle sono quelle degli altri
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bARCa bIsBetiCa con cIURmA fAmEliCA: quotidianità di famiglie a vele spiegate. Il diario dei nostri "sogni in mezzo al mare"... tra letteratura di bassa lega, geografia pelosa, visioni mistiche, cheek to cheek, uccellini che cinguettano, cibo, musica e poesia.
"Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?" (Joseph Conrad)
sabato 3 aprile 2010
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Buona Pasqua
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anche a te, auguroni! :-))
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