"Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?" (Joseph Conrad)

lunedì 20 settembre 2010

Aldilàdelmare

Pubblico, a mia memoria e non soltanto mia, un bellissimo racconto scritto da un'amico al ritorno di una piacevole esperienza estiva in barca...... ma dovrei dire più correttamente prodotto da uno Scrittore! leggere per credere........



l'autore del racconto Roberto (studio.veronese@gmail.com) ed il suo KOCHAB - Sun Odyssey 36i performance










Iniziare un racconto di mare stando a terra non è facile.
Soprattutto se il mare è ancora dentro nel sangue, mescolato fra salsedine e globuli rossi, confonde la risacca delle onde con quel fastidioso acufene all’orecchio destro.
Ma sono soprattutto le pupille che ti fregano perché sono ancora vivi i fermo immagine di momenti che rimarranno dentro per molto.
Per me.
Forse per sempre.

E così rivedo e rivivo.




Fermo immagine n.1: La traversata notturna.

La nostra prima traversata notturna inizia sabato 31 luglio 2010 alle cinque del pomeriggio con partenza dallo Sporting di Chioggia dopo l’attesa che il mare si calmasse un pochino, dato che la bora avrebbe reso la traversata un supplizio.
Alle cinque il mare si presenta nel canale di uscita con onde di due metri che per poco non ci fanno tornare indietro.
Ma è solo lì.
Subito dopo la diga foranea il mare si acquieta, le barche procedono assieme a due a due, prua vera a sud est, 118 gradi impostati sulla scia di un sole che tramonta a poppavia.
Una luna sbeccata ci illumina più tardi la rotta per Lussino.
Con noi c’è Eos, Kalim, Flic Floc, Wallium, Monette.
Randa e motore, 6 nodi di pace e tranquillità, whf sul sei e la voce di Renato che chiama, informa, dettaglia, quella di Roberto che assicura, quella di Franco che ci fa sognare un risotto ai frutti di mare fatto da Bianca che più di un risotto è una bufala.
E nemmeno della zona di Caserta.
La notte trascorre tranquilla fino all’incrocio con una vela nera che sembra un vascello fantasma, viene da sinistra e la si intuisce, è un’ombra nell’oscurità notturna che avanza e si ferma, vira su se stessa per poi procedere silenziosa sulla sua rotta.
Non capiamo il perché di quella mossa: forse ha fatto male i suoi conti, temeva un abbordo.
Sfila a prua nel silenzio più assoluto.
E’ il presagio di un nuovo incontro, più importante, verso le tre del mattino dove quella luce bianca e verde e rossa indica una nave in rotta: non ci sono né santi né madonne.
I puntini luminosi non si spostano di un millimetro dal bel riferimento sul pulpito di dritta, puntini che prendono forma con il binocolo, madonnasanta, è la prua di un grattacielo che avanza con due baffi enormi, due onde gigantesche.
Mi torna in gola il viteltonnato di Marina che pensavo aver digerito bene.
Deglutisco.
Che fare?
Aspetto qualche secondo (che sono mezzegiornate) e riprendo il riferimento ma non si schioda dal pulpito di dritta. I ricordi della patente nautica, mescolati ai racconti letti su “Bolina” nelle serate d’inverno mi fanno intendere che siamo in rotta di collisione.
Aspetto ancora, guardo ancora, calcolo ancora, spero ancora, ma alla fine chiamo Renato al whf.
Mi risponde Laura, pacifica.
Dico loro che a dritta una nave ci sta puntando.
Silenzio.
Dopo pochi secondi (che sono mezzegiornate) la voce gracchiante e assonnata di Renato mi dice testuale: “Tranquillo Kochab, ci passerà al giardinetto”.
Screeck!
E così è stato.
Il bersaglio ora sta scadendo leggermente verso poppa.
Impercettibile.
Ma scade.
La MSC Musica ci passa a poche centinaia di metri a poppavia, ci passa a 23 nodi assieme ai suoi 2.500 passeggeri, i 987 membri d’equipaggio, i suoi 293 metri di lunghezza e soprattutto le 89.600 tonnellate di stazza. La vediamo in tutto il suo splendore notturno, nelle mille luci accese che confondono le luci di via, percepisco il dolce dormire dei suoi ospiti a bordo, immagino il comandante a prua che già da un pezzo aveva calcolato il minuto ed il secondo esatto che ci sarebbe passato alla nostra poppa senza problemi.
E chissà se avrà pensato o peggio, se avrà visto l’espressione del mio volto col binocolo in mano ed il vhf sulla destra a chiamare Eos per un confronto conforto.
Spero di no!
Confido nella complicità delle tenebre.
A Lussino il giorno dopo, con la calma della banchina e la luce del giorno, un sorridente Renato mi confessa: “Approposito di stanotte, mica l’avevo vista, la MSC Musica….”
Screeck!



Fermo immagine n.2: Gennaker su Vis.

Il bello dell’andare a vela è che se il vento rinforza e la direzione è quella giusta allora non c’è meta che tenga.
Si doveva andare a Solta ma il vento è salito senza preavvisi meteo. Soffia che è una meraviglia anche se lo sentiamo poco, visto che ce l’abbiamo di poppa.
Altre barche in andature diverse piegano e filano e si divertono mentre noi a motore e vela con questo refolo che spinge sulla coppa ci fa sentire un po’ sfigati. S’innescano meccanismi di pensieri circolari che ci suggeriscono un cambio di destinazione.
Sì, andiamo a Vis che è giusta al traverso!!
C’è un bel vento da nord ovest che gira lentamente a dritta, un maestralone che soffia sui 13/16 nodi e non smette, una bolina larga che è un traverso che è un lasco e che ci inchioda su un pensiero fisso: il gennaker!
In poco tempo le scotte sono armate sulle draglie, la calza è pronta in piede d’albero e niente, il gennaker esplode in tutta la sua forza e il kochab ‘sto giro sembra volare.
La vela blu si mescola e si amalgama con il blu del mare, accarezza la superficie dell’acqua con la sua parte convessa, ne cerca il contatto e lo trova sulle onde formate nel braccio di mare che separa Vis da Solta, mentre il log segna 8 nodi che sembra uno scherzo ma che trova conferma nella schiuma bianca della scia che ci lasciamo dietro come firma del nostro passaggio in calce al mare.
Adrenalina che scorre nelle vene, rumore del vento che sbatte sul gennaker, onde che frangono sullo scafo che fende il blu, tensioni di forze opposte di fisica applicata e questo spostarsi da un punto all’altro della carta nautica senza consumare gasolio, senza imbrattare il mare, senza il rumore ormai immutabile del motore a scoppio che ci accompagna in ogni dove nella vita di tutti i giorni.
E m’immagino Enea che navigava allo stesso modo oltre duemila anni fa, lo immagino mentre regola le vele seguendo i filetti, che fa gli stessi bordi, che modifica le andature e le mete all’alzarsi del maestralone che soffia sui 13/16 nodi e non smette.
È questo che mi affascina della vela, quel ripercorrere le stesse rotte con la stessa tecnica, seguendo gli stessi venti, sentendo le stesse sensazioni, provando le stesse paure, desiderando gli stessi approdi di chi il mare lo navigava all’alba della civiltà.
Quando Vis è a 2 miglia ammainiamo la vela e ci apprestiamo ad ormeggiare al porto banchina comunale.
Vis è bellissima.
Sembra un po’ la Grecia, ha un sapore leggermente esotico con quelle palme che riempiono la vista dal tambucio aperto sulle bancherelle di frutta e verdura, ormeggiamo felici e adrenalinici come mai, incontriamo Isi ed un angolo di Chioggia rivive quaggiù, tagliamo, sopra una bitta in pietra, una succulenta sopressa veneta, la innaffiamo di karlovacko, la gustiamo tutta e tutto è perfetto, tutto è genuino, tutto ha il sapore dell’estate e dell’amicizia, quella vera.
La sera poi sul pozzetto di Eos brindiamo con un rosso della borgogna francese del 2008.
Apoteosi di un momento da incorniciare.



Fermo immagine n.3: Purzel

Purzel è una vecchia barca a vela armata goletta, un motorsailer di una sessantina d’anni fa battente bandiera germanica. Il suo armatore è un anziano signore di poche parole che incontriamo al porto di Tribunj dove abbiamo riparato il 5 agosto mentre a Olib alcune barche andavano a picco.
Purzel è l’icona dell’amore per il mare ed il suo armatore ne è la cornice.
Perché non c’è vetroresina, perché non c’è tecnologia dell’ultima ora, perché non c’è comodità a bordo, perché non c’è elica di prua a favorire le manovre, non ci sono tendalini, né cuscini né tavolini in pozzetto ma solo un enorme grande casino di cime, di rinvii, di manovre, di coperture.
Purzel è l’anticonformismo, è una pernacchia a cielo aperto alle mode nautiche che ogni anno s’inventano qualcosa per farti cambiare ciò che già funziona che è una meraviglia: la tua barca.
Al suo armatore regaliamo la bandiera dell’Andana e con nostra sorpresa la issa sulla crocetta di sinistra con molto orgoglio.
Lentamente, ma con orgoglio.
L’orgoglio è invece nostro, nel vedere quella bandierina sventolare allegra su quella barca, ricordo di un incontro croato e connubio di filosofie che non sono molto distanti le une dalle altre. Scattiamo foto e stringiamo mani, sembriamo tutti usciti da un romanzo ma ci sentiamo felici e sereni così.
Forse un po’ ridicoli, forse.
O forse no.
Perché la gioia che abbiamo dentro non ha prezzo.




Fermo immagine n.4. La luna nel pozzetto.
“… e si può restare soli, certe notti qui….” Il Liga mi risuona dentro chissà dove mentre sono disteso sulla panca in pozzetto. Sono le due del mattino di una notte qualsiasi al gavitello alle Incoronate ed ho davanti a me la volta celeste di Kant. E’ umida la notte alla fonda ma quel chiarore ne fa evaporare il freddo, svanisce ogni disagio notturno e rimango a fissare ciò che mi sovrasta. Un satellite sfreccia veloce a mantenere la sua posizione, un aereo lancia le sue luci intermittenti nel buio, una scia luminosa attraversa lo spazio, stella di San Lorenzo che cade nel vuoto cosmico lasciando i desideri dietro l’angolo del non detto.
Poi lentamente da dietro la collina il chiarore si fa più insistente.
Sta sorgendo.
La luna.
Sono momenti in cui mi sento appartenere a qualcosa di più grande, come fossi la rotella di un meccanismo immenso dove ognuno ha un ruolo, dove tutto ha una regola precisa da seguire, dove trova senso compiuto il mio agire di uomo ai margini.
Sono momenti in cui mi sento vicino a qualcosa di intangibile, di etereo e irrazionale, dove i miei sensi si acuiscono a percepire qualcosa che non c’è e non ci potrà mai essere perché appartenente ad una dimensione diversa che trascende la mia fisicità, il mio essere immensamente piccolo in mezzo all’immensamente grande.
Sono momenti in cui i pensieri volano liberi a mille all’ora, i ricordi si mescolano ai sogni e i sogni si mescolano ai progetti, la vita passata scorre come un film al cineforum dell’Odeon e ne rivedi le scene più importanti ne riassapori le sensazioni per lasciarti dentro un senso di incompiuto che è quel futuro che ti aspetti e che non sarà mai come l’hai immaginato.
Sono momenti in cui il mare mi entra dentro ed io mi confondo con lui, mi sento bene così come sono, i muscoli del viso sono rilassati, il battito del cuore è costante e gli occhi si perdono fra il nero del mare e quello della notte, i pensieri tramontano dietro il pulpito di prua per lasciarmi trasportare dal rollio della notte nel territorio neutro che precede il sonno.


Ora sono qui.
Lontano dalla mia barca, lontano dal mare, lontano da quei momenti che sanno di vita.
Di vita vera.
Mi scende la nostalgia in fondo al cuore, mi scende senza compensare, mi fa aprire i file dove sono contenute le foto di quest’estate, mi fa tornare con la mente proprio lì, mi fa rivivere quelle emozioni, mi rapisce i pensieri e mi distrae da ciò che mi circonda che non mi piace più di tanto ma che è la mia vita di tutti i giorni, fatta di incazzature da stress e lavori che non finiscono e problemi che si complicano e situazioni da definire e appuntamenti da confermare e scadenze da rispettare.
Non so cosa sarà di tutto ciò.
Non so dove sarò fra un anno.
Non so che lungo inverno sarà.
So solo che ho vissuto sulla mia barca momenti indimenticabili, ho nuotato in acque pulite lontano da tutto, ho visto stelle cadenti su baie silenziose, ho attraversato il mare con le vele terzarolate, ho stretto mani di veri marinai, ho riso e scherzato con gli amici che ho incontrato, ho bevuto un buon vino e spezzato con loro il mio pane, ho visto la felicità degli incontri in baia e la voglia di stare insieme ancora un giorno di più, ho sentito le voci dei nostri amici accompagnarci nei labirinti dei dubbi e delle paure notturne, ho provato la sensazione di appartenere a quell’elite di uomini che rispettano il mare e lo temono, ho sentito il vento entrarmi dentro e ridarmi le energie che avevo perduto durante tutto l’anno, ho respirato il respiro del mare e mi sono ritrovato ad essere una sola cosa con l’infinito.
Non so cosa rimarrà di tutto ciò un domani ma so che tutto ciò è vita vera.
Io l’ho vissuta.

Aldilàdelmare.


(Quelli del Kochab) - 
Chioggia, 15 settembre 2010

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