«Due volte il percorso,tre volte il tempo,quattro volte la rogna»
Raggiungere dal punto di partenza il punto di arrivo nel più breve tempo possibile: è questo, naturalmente, il criterio basilare nella scelta della rotta di ogni tipo di imbarcazione che si accinge ad intraprendere una navigazione.
Nella navigazione a motore è in genere una scelta relativamente semplice: si traccia la rotta di minor percorso, normalmente costituita da una spezzata di lossodromie, e si cerca di seguirla accuratamente alla velocità consentita dalla potenza del motore e dallo stato del mare. Si è così ragionevolmente sicuri di arrivare a destinazione nel minor tempo possibile. Si può dire quindi che nella navigazione a motore la rotta di minor tempo normalmente coincide con quella di minor percorso.
Quest’affermazione è tutt’altro che vera nella navigazione a vela, indissolubilmente legata alla direzione e forza del vento, e più influenzata dalle correnti marine, considerato il fatto che la velocità media del veliero è inferiore a quella dell’imbarcazione a motore. Per cominciare, esiste un settore dei 360° dell’orizzonte, a cavallo della direzione di provenienza del vento, assolutamente vietato al veliero. L’ampiezza di questo settore è determinata dalle due rotte che il veliero riesce a seguire stringendo al massimo il vento sui due bordi, e varia in maniera molto considerevole in funzione delle caratteristiche del veliero oltre che delle condizioni del vento e del mare. Mentre per la Vespucci, per fare un esempio, il settore vietato è dell’ordine dei 150° nelle migliori condizioni, per una moderna imbarcazione da regata può ridursi ad una settantina di gradi. Tralasciando i casi limite, si può dire che per una imbarcazione da diporto “onesta” il settore vietato è di un centinaio di gradi, ossia più di un quarto dell’arco dell’orizzonte.
Se il punto di arrivo è compreso in questo settore, occorre fare buon viso a cattiva sorte e assumere l’andatura di bolina stretta, scegliendo il bordo che si avvicina di più alla rotta di minor percorso (Fig. 1).
E intanto ci si comincerà ad adattare all’idea di un bordeggio, che spesso comporta una navigazione alquanto disagiata (Due volte il percorso, tre volte il tempo, quattro volte la rogna: così veniva definito il bordeggio dai marinai delle passate generazioni!). Mentre naviga di bolina, l’accorto timoniere comincerà a fare alcune osservazioni, e a porsi dei problemi. Se segue una andatura molto stretta, con le scotte cazzate al massimo, è vero sì che vedrà la prua più vicina a quella che lui vorrebbe, ma è anche vero che difficilmente sarà soddisfatto della velocità che riesce ad ottenere. Puggiando di 5° e filando un tantino le scotte la velocità migliora decisamente. Puggiando altri 5° la velocità continua a migliorare, ma la prua si scosta ancora dalla mèta e il percorso di conseguenza di allunga (Fig. 2).
Quale sarà allora il compromesso migliore tra prua e velocità? Anche il timoniere esperto che conosce bene la sua barca e la sa portare al meglio avrà continuamente in mente questo dilemma. Il suo “campo di incertezza” sarà però molto più ristretto di quello del principiante, il quale tuttavia farebbe bene a studiare attentamente questa faccenda, se desidera salire di qualità più rapidamente.
La VMG
VMG in inglese sta per “Velocity Made Good”, che tradotto alla lettera sarebbe “velocità fatta buona”. VMG è un termine ormai entrato stabilmente nel mondo della vela, come tanti altri di origine anglosassone, e bisogna tenerselo, anche perché il termine corrispettivo italiano pare che non sia mai esistito. La si potrebbe chiamare “Velocità utile” o “Velocità di avvicinamento”, in quanto la VMG altro non è che la componente utile della velocità. Se si fa rotta diretta da A a B, la VMG coincide con la velocità dell’imbarcazione. Se invece la rotta si discosta di un certo angolo dalla congiungente AB, la VMG risulta minore della velocità istantanea: tanto minore quanto maggiore è l’angolo di scostamento dalla congiungente AB, fino ad annullarsi quando quest’angolo è di 90°. Graficamente la VMG si trova facilmente (Fig. 3).
Basta tracciare la congiungente tra il punto nave A e il punto di arrivo B, la rotta effettivamente tenuta e la velocità istantanea, misurata con una scala a piacere. Proiettando la velocità sulla congiungente AB, si ottiene la VMG, che si misura con la stessa scala scelta prima. Nel caso di Fig. 3 la velocità dell’imbarcazione è di 4 nodi. La VMG risulta di 3,6 nodi. Ciò significa che in quel momento la velocità di avvicinamento a B è di 3,6 nodi. Navigando a vela è questa la velocità che conta, e la scelta della rotta più breve va fatta con lo scopo primario di fare in modo che la VMG sia in ogni momento la massima possibile. Per chi ricorda i rudimenti della trigonometria, la VMG non è che il coseno dell’angolo di scostamento dalla rotta diretta, moltiplicato per la velocità istantanea. Con i calcolatori digitali è facilissimo trovarla. Nel caso di Fig. 3, l’angolo di scostamento è di 26° e la velocità di 4 nodi. La VMG risulta, col calcolatorino, di 3,59 ... nodi, contro i 3,6 trovati graficamente. Disponendo del calcolatore, quindi, non è necessario fare operazioni grafiche. Basta sapere la rotta che si dovrebbe tenere, quella che invece si sta mantenendo, e farne la differenza, che è l’angolo di scostamento. Il coseno di quest’angolo per la velocità istantanea dell’imbarcazione è la VMG. I tasti da spingere sul calcolatorino sono in successione: 26°, cos, X, 4, = Tornando alla Fig. 2, sapendo ora cos’è e come si trova la VMG, si fa presto a stabilire che, nel caso particolare, la rotta più conveniente è quella a 45° dal vento, alla quale corrisponde la maggiore VMG (Fig. 4).
In pratica, quando si va di bolina, tutto questo lavoro non si fa: lo fa cioè istintivamente il timoniere, con la sensibilità che ha acquistato con la pratica. Egli cioè “sentirà” qual è il compromesso migliore fra la prua e la velocità; e cercherà di mantenere sempre al meglio questo compromesso. In altri termini, manterrà la VMG intorno al massimo valore, compatibilmente con le condizioni del momento. Procedendo sul bordo con le mure a sinistra per andare da A a B, ad un tratto si dovrà virare di bordo. Quando? Per rispondere a questa domanda è bene considerare che la VMG, man mano che si procede con le mure a sinistra, va sempre più diminuendo. Ciò a causa del fatto che ’angolo fra la rotta effettiva, che supponiamo costante, e la congiungente punto nave -punto di arrivo va gradatamente aumentando (Fig. 5).
Quando questa congiungente (A’B nel disegno) sarà orientata esattamente controvento, la VMG sui due bordi sarà uguale. Da quel momento in poi comincerà ad essere più favorevole l’altro bordo. Per mantenere al massimo la VMG sarebbe quindi necessario virare in continuazione. Ma ogni viramento fa perdere velocità, che bisogna poi accortamente riacquistare, per cui si andrà avanti per un po’. Una buona regola è quella di virare quando la congiungente A’B è ruotata di 5°, dopo aver oltrepassato la direzione del vento (Fig. 6).
Ciò porta alla tecnica del bordeggio entro un settore di 10°, col vertice sul punto di arrivo B e con la bisettrice coincidente con la direzione di provenienza del vento (Fig. 7).
Con questa tecnica ci si garantisce dagli effetti di un salto di vento, sempre possibile, se non addirittura probabile. Effetti che talvolta possono essere benefici, talvolta invece nefasti. In realtà, se si fosse sicuri che il vento si mantenesse costante in direzione e intensità in tutta l’area interessata dal bordeggio, non varrebbe la pena di effettuare tanti viramenti di bordo; basterebbe tirare un lungo bordo con le mure a sinistra o a dritta indifferentemente, e virare quando si è in posizione tale da arrivare a B con un altro lungo bordo. Ma ciò accade raramente, perfino nelle regate a triangolo, dove i percorsi sono relativamente brevi e i tempi di qualche ora soltanto. In pratica il vento a volte scarseggia, a volte dà buono. Per fare un esempio, se, dopo aver effettuato un ipotetico lungo bordo con le mure a sinistra (Fig. 8) il vento girasse di una quarantina di gradi in senso antiorario, al momento di virare risulterebbe proveniente dritto dalla mèta e si dovrebbe ricominciare a bordeggiare.
Se invece si fosse rimasti a bordeggiare nel settore dei 10°, al girare del vento si sarebbe potuto raggiungere B con un solo bordo.
Riassumendo, dovendo bordeggiare da A a B è opportuno: 1. Scegliere il bordo che avvicina di più a B. 2. Proseguire sul bordo fino a quando il rilevamento di B supera di 5° la direzione del vento. 3. Virare di bordo e, se il vento gira, ricominciare dal punto 1. Se invece, resta, costante, continuare a virare come descritto al punto 2. 4. Quando si è abbastanza vicini a B, cioè in vista della mèta e a non più di un quarto di miglio, continuare su un bordo, uscendo fuori dal settore (Fig. 7), virando quando l’angolo tra la prua e il rilevamento di B è il doppio di quello che l’imbarcazione riesce a stringere col vento vero (da non confondere col vento apparente, che è quello mostrato dalla bandierina in testa d’albero o dai nastrini legati alle sartie). Per sapere quanto stringe la barca, basta prendere nota delle prore bussola sui due bordi e dividere per due la differenza. Questo è anche il sistema più pratico per accertare la direzione del vento vero. Una vecchia regola diceva di virare quando la mèta era al traverso, o un po’ a poppavia del traverso. Le imbarcazioni medie di oggi stringono alquanto di più, per cui adottando la vecchia regola può capitare di dover poi puggiare per il punto di arrivo. Ciò non è un gran male, ma i regatanti sanno bene quanto cammino può far perdere!
Il bordeggio in poppa
L’andatura in poppa non è la più veloce. Ciò è tanto più vero quanto più il vento è leggero. Anche il principiante si accorge che la velocità aumenta considerevolmente quando dall’andatura di poppa piena viene all’orza di una ventina di gradi solamente. Il perché sta nel fatto che il vento apparente, al minimo dell’intensità nell’andatura in poppa, aumenta subito orzando e, quel che è più importante, ruota visibilmente di più di quanto si sia orzato. Ciò migliora molto il rendimento aerodinamico delle vele. Dovendo andare da A a B col vento in poppa, non è quindi detto che sia la rotta diretta quella che farà arrivare a B nel più breve tempo possibile. Ciò potrà avvenire solo nel caso che il vento sia sufficientemente forte da far mantenere all’imbarcazione la sua massima velocità. In condizioni di vento medio, e ancor più di vento leggero, conviene sempre orzare per una rotta più al vento, facendo così camminare la barca molto meglio. Anche in questo caso il timoniere sarà assillato dal dubbio: “se orzo vado più veloce, ma debbo poi strambare, e quindi fare un percorso maggiore. Mi conviene? E quanto debbo orzare?” Qui le considerazioni fatte sulla VMG sono più facili da mettere in pratica che non nel bordeggio controvento, dove è la sensibilità del timoniere a giocare il ruolo determinante. Occorre però disporre di un misuratore di velocità oltre che della bussola. Partendo dal vento in poppa basta orzare di 5° in 5°, aspettando ogni volta che la velocità si stabilizzi, e prendendone nota. Durante queste prove è bene governare alla bussola, facendo attenzione a tenere la prua più ferma possibile per il tempo necessario a far stabilizzare la velocità. Un semplice grafico, come quello di Fig. 9, o una ancor più semplice operazione col calcolatorino elettronico, chiarisce subito quale delle quattro o cinque rotte sperimentale consente la maggiore VMG, ed è quindi presto determinata la rotta più veloce, anche se più lunga di quella diretta.
Volendo fare le cose “un tanto al chilo”, si orza di una quindicina di gradi con vento medio, e fino ad una trentina di gradi con vento leggero. Se il vento è leggerissimo si potrà orzare anche di 40-45°. A un tratto si presenterà il problema di quando strambare. Il concetto è semplice: si stramba quando, prendendo il vento sulle altre mure, sotto lo stesso angolo, si ha anche la prua su B. In pratica ciò avviene quando l’angolo fra la prua e la direzione di B (che è il rilevamento polare di B) diventa il doppio dell’angolo fra la poppa e la direzione del vento vero (Fig. 10).
Questa può essere apprezzata a occhio con discreta approssimazione, osservando le piccole increspature che il vento disegna sulla superficie delle onde. Mentre queste ultime non sempre hanno la stessa direzione di avanzamento del vento, le increspature sono sempre perpendicolari al vento stesso. Anche il rilevamento polare di B può essere apprezzato a occhio. Il rilevatore portatile tuttavia è decisamente più accurato dell’occhio nudo. Per impiegarlo correttamente occorre farsi dare la lettura della bussola nel momento in cui si prende il rilevamento. La differenza tra i due valori è il rilevamento polare. Anche per apprezzare la direzione del vento vero ci si può aiutare col rilevatore portatile, traguardando nella direzione perpendicolare alle increspature. Se il vento non è esattamente in poppa, si sceglierà per primo il bordo che più avvicina a B, e si stramberà seguendo la regoletta esposta prima (Fig. 11).
Se infine il vento gira, occorre strambare subito, oppure continuare sulle stesse mure a seconda di come gira, allo scopo di mantenere la VMG sempre al massimo valore possibile. In pratica, si puggia quando il vento dà scarso e si stramba quando dà buono. Tutto quanto detto prescinde dalla presenza di corrente e dalla conoscenza più o meno attendibile dei venti locali: ad esempio, sapendo che c’è una elevata probabilità che il vento a un certo punto giri in una determinata maniera, o che la corrente possa influire, può essere senz’altro conveniente cominciare un bordeggio, sia in prua che in poppa, partendo col bordo sfavorevole. Sono queste le carte che giocano i regatanti. Tuttavia non essendo pratici locali, piuttosto che tentare la sorte conviene certamente attenersi alla regola di cercare di avvicinarsi alla mèta con la migliore VMG.
Giancarlo Basile (ottobre 2007)
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